di Giulia Zanfino
La statua stava nella polvere. Un
cappio al collo. E gli operai ne celebrarono la “caduta” come un evento
simbolico. Quello che avrebbe tracciato una linea di confine tra i ritmi di
lavoro feudali della Marzotto di Valdagno, e un’epoca nuova. Era il 19 aprile
1968 e la statua in bronzo era quella del conte Pietro Marzotto. Oggi di quel
giorno resta solo un rimpianto. Di ciò che sarebbe potuto essere, ma non è
stato. 44 anni dopo tra le mura gelide del tribunale di Paola la solita kermesse,
che si ripete da più di un anno. Quella del processo Marlane/Marzotto, lo
stabilimento calabrese del conte del nord. Più di cento gli operai che ne hanno
varcato la soglia per poi ammalarsi o perdere la vita. La pellicola di questo
film è sempre la stessa. Soldi, malagestione. Prodotti chimici usati senza
misure di sicurezza. E un processo a rischio prescrizione. C’è la sbarra che
divide in due l’aula del tribunale di Paola. Da una parte qualche operaio sopravvissuto.
File di vedove. I figli degli operai stroncati dai veleni. Qualche parente.
Tutti stretti nel loro silenzio carico di dignità. Nessun politico presente. Solo
il rappresentante del PdCI calabrese, Giovanni Guzzo. Non ci sono nemmeno le
telecamere che da mesi presenziano ogni udienza. Il processo “che non c’è” è
iniziato così. Dall’altra parte della sbarra lo scenario cambia. I trench di
Barberry appoggiati sui banchi degli avvocati del nord e le loro camicie
inamidate seducono l’occhio di chi osserva. Gli orecchini col pendente delle
avvocatesse calabresi. Le facce tese. I capelli sistemati. Sembra di osservare
un salotto televisivo mancato. Più in là il sindaco di Praia a Mare, Carlo
Lomonaco, in piedi, a schiena dritta nell’ala destra dell’aula gelida. Con le
spalle alle sbarre di ferro della cella del tribunale. Lui era il chimico
dell’azienda. Ed è imputato perché responsabile del reparto killer della
fabbrica, per anni. E quella sbarra in legno che taglia in due l’aula assume un
significato metaforico.
Intanto l’udienza si è consumata così, sotto il colpi delle asserzioni della difesa. L’avvocato Perugini, fratello dell’ex sindaco del Pd Cosentino, si è confermato un abile stratega. Una lunga lista, la sua, in cui ha contestato le costituzioni di parti civili di decine di operai. Per più di un’ora. “Manca lo stato di famiglia, manca la documentazione medica e del lavoro”. E il lungo elenco sembrava contemplare tutti gli operai che si sono costituiti parte civile, e gli eredi di quelli che sono deceduti. Nicola Sanguinetti, Giuseppe Salvadori, Poalo Sarubo, Angelo Mandarano, Eugenio De Rose, Vincenzo Lammoglia, Felice Lammoglia, Gennaro Spatuzzi, Antonio Curcio, Francesco Capua. E ancora nomi che scorrono tra le pagine della memoria che l’avvocato legge, senza sosta. Ma lentamente. Dopo più di un’ora sai è ancora a metà. “Non vuole essere uno strumento pervertente”, ha affermato l’avvocato Perugini, facendo sfoggio di un virtuosismo dialettico degno della difesa di un colosso come quello della Marzotto. Intanto chi aveva paura, e si era fatto avanti timidamente, nel processo, oggi comincia a parlare con più sicurezza. “Ho tenuto per me per 20 anni un segreto” afferma uno degli operai, vittima di un cancro terribile, oggi vivo per miracolo. “Avevo paura che potesse ritorcersi contro di me. Ma da 20 anni so che la Marzotto, già negli anni ‘80, è stata condannata da un tribunale calabrese, forse quello di Paola, per aver inquinato i terreni. Però non è mai trapelato nulla. Io venni a conoscenza della cosa per una casualità anni addietro. Ma non osai parlarne”. E la notizia pare fondata. La condanna risalirebbe al 1987. Come mai salti fuori solo ora, non ci è dato saperlo. Molti sono ancora gli interrogativi che girano intorno a questa vicenda torbida. L’8 giugno si terrà la prossima udienza. In vista un sit-in di protesta, contro l’ennesima richiesta della difesa di spostare il processo al nord Italia.
Intanto l’udienza si è consumata così, sotto il colpi delle asserzioni della difesa. L’avvocato Perugini, fratello dell’ex sindaco del Pd Cosentino, si è confermato un abile stratega. Una lunga lista, la sua, in cui ha contestato le costituzioni di parti civili di decine di operai. Per più di un’ora. “Manca lo stato di famiglia, manca la documentazione medica e del lavoro”. E il lungo elenco sembrava contemplare tutti gli operai che si sono costituiti parte civile, e gli eredi di quelli che sono deceduti. Nicola Sanguinetti, Giuseppe Salvadori, Poalo Sarubo, Angelo Mandarano, Eugenio De Rose, Vincenzo Lammoglia, Felice Lammoglia, Gennaro Spatuzzi, Antonio Curcio, Francesco Capua. E ancora nomi che scorrono tra le pagine della memoria che l’avvocato legge, senza sosta. Ma lentamente. Dopo più di un’ora sai è ancora a metà. “Non vuole essere uno strumento pervertente”, ha affermato l’avvocato Perugini, facendo sfoggio di un virtuosismo dialettico degno della difesa di un colosso come quello della Marzotto. Intanto chi aveva paura, e si era fatto avanti timidamente, nel processo, oggi comincia a parlare con più sicurezza. “Ho tenuto per me per 20 anni un segreto” afferma uno degli operai, vittima di un cancro terribile, oggi vivo per miracolo. “Avevo paura che potesse ritorcersi contro di me. Ma da 20 anni so che la Marzotto, già negli anni ‘80, è stata condannata da un tribunale calabrese, forse quello di Paola, per aver inquinato i terreni. Però non è mai trapelato nulla. Io venni a conoscenza della cosa per una casualità anni addietro. Ma non osai parlarne”. E la notizia pare fondata. La condanna risalirebbe al 1987. Come mai salti fuori solo ora, non ci è dato saperlo. Molti sono ancora gli interrogativi che girano intorno a questa vicenda torbida. L’8 giugno si terrà la prossima udienza. In vista un sit-in di protesta, contro l’ennesima richiesta della difesa di spostare il processo al nord Italia.
3 commenti:
questo chi l'ha scritto?
le notizie saltano fuori adesso perchè quella gente non ha più paura , non ha paura perche cara giornalista Giulia ci siete voi al loro fianco, voi giornalisti non corrotti dal Dio soldo, noi cittadini che grazie ai vostri libri ci avete fatto conoscere questa/e realtà, noi voi e loro contro l'ingiustizie e l'arroganza dei padroni che lasciavano morire le persone senza avvisarle del pericolo, grazie Giulia, grazie a Francesco Cirillo , grazie a chi si sta occupando di questa tragedia , un grazie lo faccio anche ai giudici chiedendo di fare giustizia , giustizia terrena quella Divina è già scesa su tanti operai e dipendenti della Marlane d.d
pino è di GIULIA ZANFINO.. leggi il nome sotto la foto
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