15 maggio 2012

Si spegne un'altra operaia. E i sopravvissuti della Thyssen incontrano quelli della Marlane.


di Giulia Zanfino


Si era costituita parte civile nel processo contro gli amministratori dello stabilimento, ma alle udienze  e ai sit-in non ha mai partecipato. La malattia le aveva tolto le forze. Lei, però, non ha mai smesso di lottare. Giancarla è andata via così, ennesima vita spezzata risucchiata nella voragine della fabbrica dei veleni. 24 anni di lavoro in fabbrica, tra le mura della Marlane di Praia a Mare. Poi, nove anni passati a combattere il cancro. 66 anni, due figli, Giancarla D'Agostino è l’ultima vittima della fabbrica dei veleni di Praia a Mare, lo stabilimento calabrese Marlane/Marzotto.
Aveva cominciato a lavorare al Lanificio R1 del conte Rivetti, nella sua Maratea. La città del Cristo che sovrasta maestoso il golfo di Policastro. Quel Cristo, voluto dal conte Rivetti a sua immagine. Le piaceva sedersi davanti alla porta di casa, nel tempo libero. Quella casa arroccata all’ingresso del paese, che da qualche giorno è piombata nel silenzio. Riservata. Seria. Una donna bruna, considerata da chi la conosceva “grande lavoratrice”. Nel 1969 Giancarla è stata trasferita a Praia a Mare. Quel trasferimento segnerà la sua condanna a morte. Ma, allora, lei non poteva saperlo. Luigi Pacchiano, ex operaio Marlane sopravvissuto al cancro, fa un salto nel passato. “Giancarla era una persona straordinaria. Ci si incontrava alle 5 del mattino in piazza, a Maratea. Poi si partiva per Praia a Mare. Siamo cresciuti insieme. Abbiamo condiviso il duro lavoro e la bellezza della gioventù. Eravamo una famiglia”. Pacchiano ha il dolore scolpito sul volto. Lo stesso che hanno i reduci di guerra, quando parlano dei loro compagni caduti sul campo di battaglia. Quella smorfia appena accennata. Quello sguardo che si accende. Rabbia. Dolore. Disorientamento. Perché in guerra la morte te l’aspetti. In fabbrica, no.
Quell’espressione che ti trafigge è la stessa che accenna Carlo Marrapodi, attore, ex operaio della Thyssen Krupp di Torino, ogni volta che pronuncia i nomi degli operai che in quello stabilimento torinese hanno perso la vita. Carlo ha raccontato all’Unical di Cosenza la sua esperienza in quella fabbrica, confrontandosi con Luigi Pacchiano. Marlane-Thyssen Krupp. Praia a Mare-Torino. Un filo rosso che lega la malagestione delle fabbriche, da nord e sud Italia. Il quadro che ne emerge è agghiacciante. 

Carlo Marrapodi, ex operaio Thyssen Krupp

Anche alla Thyssen agli operai veniva data una busta di latte, per disintossicarsi. Così come veniva data alla Marlane di Praia. E il filo rosso diventa più spesso. “Alla Thyssen c’erano delle grosse bobine in metallo” racconta Carlo “e per far sì che noi operai capissimo il valore che avevano, a ogni bobina corrispondeva un simbolo. Una macchina di grossa cilindrata. La più grossa era una Ferrari. Così noi operai avremmo dovuto venerare quelle bobine in metallo, come veneriamo (secondo la dirigenza, ndr) i modelli preconfezionati che ci somministra la società consumista in cui viviamo”.  Eppure gli operai della Thyssen Krupp non erano stupidi automi. Erano persone. Anche loro, una famiglia. I turnisti. Quelli che hanno orari assurdi. Quelli che passano notti insonni. "Il più anziano lo chiamavo "lo psicologo". Ho passato notti intere a confidarmi con lui. Quando ero giù di corda mi diceva "Se non ti ama... vuol dire che non ti merita!". Eravamo... così". Carlo non riesce a finire la frase. Abbassa lo sguardo. Il suo dolore è palpabile. Anche Luigi Pacchiano ha raccontato la sua esperienza tra le mura della Marlane. Fumi. Veleni. Controlli inesistenti. Pressioni. Minacce sottese. Il sindacalista CGIL Delio Di Blasi, ha poi affrontato il tema della responsabilità di sindacati. Perché anche alla Thyssen, come alla Marlane di Praia a Mare, il ruolo dei sindacalisti lasciava a desiderare. Di Blasi legge la “manovra BIS” del decreto di ferragosto, al Titolo III, Misure di sostegno sull’occupazione. Nella prima stesura, per quanto riguardava i controlli nelle aziende, il decreto prevedeva “tenendo conto dell’esito delle verifiche già effettuate, collaborazione amichevole con i soggetti controllati” e la “soppressione e riduzione dei controlli sulle imprese in possesso di certificazioni sul sistema di gestione per la qualità (UNI EN ISO – 9001)”. A oggi la sostanza del decreto non è cambiata, anche se questi concetti sono stati riscritti in modo meno spregiudicato. E la direzione che il Governo sta prendendo, proprio in materia di controllo alle imprese, fa paura. “Se si tolgono gli strumenti di controllo ai giudici, non ci sarà più tutela dei lavoratori” denuncia Di Blasi. E’ vero che, se la legislazione fosse stata questa, i controlli alla Thyssen di Torino non si sarebbero potuti effettuare. Un fatto grave, che sta passando quasi in sordina. Intanto il processo Marlane resta fermo. L’8 giugno la prossima udienza. E un sit-in in cui si vuole fare una catena umana, per circondare il tribunale, contro l’ennesima richiesta della difesa degli imputati di spostare il processo a Vicenza.

Fonte: Mezzoeuro

1 commento:

domenico ha detto...

ho una grande voglia di " urlare " giustizia e galera per la famiglia Marzotto.

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